Le Grandi Recensioni

Frozen Crown – Winterbane

Posted in musica, richieste, stroncature by Ares on aprile 23, 2021

Grazie al professor Crotaloalbino sono venuto a conoscenza della pubblicazione di quest’opera:

Ed ecco a voi la relativa recensione che il professore mi ha cortesemente inviato. Buona lettura.

Hey-ho, c’è qualcuno là fuori che aveva previsto il radicale cambio di formazione di questa promettente formazione italiana di power-metal? No, vero? Nemmeno io. Perché, parliamoci chiaro, la base solidissima sulla quale i Frozen Crown hanno costruito il loro successo su youtube è la ph33g@. E hanno fatto bene, intendiamoci. Si tratta della fondazione più sicura tra tutte quelle dispondibili. D’altronde, non c’è alcuna ragione per cui non si debba sfruttare un asset aureo che non passa mai di moda.

Aggiungo che qualche mese fa, quando il 50% gineceo di questa formazione se n’è sfanculato via assieme al batterista e al bassista, avevo pensato che i giochi fossero fatti e che non ci fosse più un futuro per questa band…a meno che ciò che rimaneva di loro non avesse infilato la testa nei meandri di merdagram…voglio dire INSTAGRAM, alla ricerca di unA sostitutA. Ed è esattamente ciò che è accaduto.

E rompete poco il cazzo a suon di “gnegnegnè a me piace la loro musica, gnegnegnegnè sanno suonare, gnegnegnegnè, ascolta altro se non ti piacciono i frozzenne chragna, gnegnegnegnè pluto-sciovi-nazi-tossi-maschil-incel-trumpiano-figlio-di-troia-col-cazzo-corto!” Io lo so, voi lo sapete, gli autori di Winterbane lo sanno. Fine della storia.

Ah no? Ok, allora supponiamo che ci sia un inuit di nome Odoacre Imbuto (nome tradotto con google direttamente dall’inuitese) appassionato di heavy metal che ha speso la sua intera esistenza all’interno del suo igloo senza alcun genere di contatto col resto del mondo. Niente internet, niente smartphone, niente tv, niente radio, niente carta stampata, un cazzo di una merda di niente se non un vecchio walkman del 1987 che, per ragioni note solo a Pazuzu, non si è mai guastato e continua a fare il suo sporco lavoro.

Mi seguite? Ri-ok. Immaginiamo che un giorno, in una zona non troppo distante dal Polo Nord, il signor Odoacre Imbuto sia impegnato a trapanare il ghiaccio con una trivella manuale che si è costruito da solo al fine di procurarsi la giusta quantità di proteine ittiche che gli consentono di non morire d’inedia. È seduto in parte al foro sul ghiaccio e tiene in mano la sua canna da pesca artigianale. Nella tasca del suo parka di pelle di cucciolo di foca ucciso crudelmente a bastonate, custodisce il suo walkman del 1987 a cui ha appena cambiato le batterie (ne ha una cassa intera che una onlus gli consegna con cadenza regolare tramite elitrasporto). Di tanto in tanto, fa headbanging mentre ascolta distrattamente un mixtape (anch’esso elitrasportato-eliconsegnato) che gli ha mandato un suo lontano cugino che vive da tre generazioni a Takayama (dopo che la famiglia vi si è trasferita in cerca di fortuna).

Per i suoi padiglioni auricolari passano, nell’ordine:

“Baring Teeth for Revolt” dei Goatwhore, *headbanging sostenuto*
“Metal Thrashing Mad” degli Anthrax (nella versione cantata da Joey Belladonna sulla B side del maxi-singolo “Armed and Dangerous”), *headbanging sostenuto*
“Devouring Frenzy” dei Pestilence, *headbaging sostenuto*
“Swords & Tequila” dei Riot, *headbanging appena accennato, canticchia il ritornello*
“Kingdom” di Devin Townsend, *headbanging sostenuto*
“Far Beyond” dei Frozen Cro-

Odoacre Imbuto, balza in piedi impugnando la canna da pesca come se fosse una Gibson Explorer color grigio canna di fucile satinato, dà un calcio al secchio di legno con dentro il pesce, alza un pugno al cielo e urla “ODINO, MI FAI UNA SOLENNE SEGA A MARTELLO DI THOR! QUESTA È LA MERDA PIÙ EPICA CHE ABBIA MAI ASCOLTATO! FANCULO IL CIRCOLO POLARE ARTICO, È GIUNTA L’ORA CH’IO MI TRASFERISCA A PAPUA NUOVA GUINEA SENZA UNA RAGIONE PRECISA!” (in inuitese, s’intende).

Ripeto e sottolineo quanto già accennato in modo forse non sufficientemente esplicito: Odoacre Imbuto non ha mai visto una foto dei componenti dei Frozen Crown. Per quello che vale, la cantante potrebbe avere il medesimo aspetto di un boiler da sostituire e chi suona la chitarra solista potrebbe essere un muratore di nome Attilio Bueghin (che ha preso il posto del precedente axe-hero che, invece, è tornato alla precedente professione di idraulico, si chiama…boh…Aronne Scardellato e vive a Millepertiche, frazione di Musile di Piave).

Ok, la situazione che ho appena descritto è credibile più o meno come l’intero “Winterbane.”

Grazie professore.

Frozen Crown – Crowned in Frost

Posted in musica, richieste, stroncature by Ares on giugno 1, 2020

Conoscete i Frozen Crown? Io ne ignoravo l’esistenza fino a pochi minuti fa, poi mi è arrivata questa recensione dal prof. Crotaloalbino e…niente, ci siamo capiti. Buona lettura.

 

Se ho capito bene, da circa un paio d’anni una band del nord-est della penisola sta infiammando youtube con i propri video. Da parte mia, sono assolutamente certo che il successo non sia assolutamente da attribuire all’aspetto delle due fanciulle che vi militano – rispettivamente, voce e chitarra – ma esclusivamente al talento dei musicisti e alla qualità delle composizioni e della produzione che ne caratterizzano il repertorio.

“Fanculo la mia vita,” ho detto, “forse è il caso che mi procuri una copia di Crowned in Frost dei Frozen Crown, per tenermi aggiornato con le ultime tendenze del metal nostrano!”

Perché hey!, se uno non ficca il naso nella merda, non può essere indubitabilmente, assiomaticamente e irreversibilmente certo che si tratti, a tutti gli effetti, di materiale organico di scarto buono per concimare i campi della pianura padana. Dietro l’apparenza di sostanza marrone maleodorante altrimenti conosciuta come sterco potrebbe nascondersi un…che cazzo ne so…un diamante G color da 8 carati. Insomma, potrebbe essere che la maggior parte degli entusiasti fruitori della proposta musicale dei Frozen Crown non abbia preso un granchio gigantesco dopo essersi soffermata un po’ troppo a lungo su ciò che davvero cattura l’attenzione dello spettatore medio, dico bene?

Fatta questa premessa, tenendo le dita incrociate, inserisco il cd all’interno del mio lettore pioneer che, dal 1991, non mi ha mai lasciato a piedi, nemmeno quando gli ho fatto ingoiare “A Dramatic Turn of Events”.

Ok, si parte con l’intro strumentale obbligatoria, “Artic Gales” che apre la strada alla prima composizione, “Neverending”.

E sono già nei guai, gente.

So che non è esattamente educato sottolineare che, dopo trentadue secondi netti di doppia cassa e riff alla Dragonforce, il mio scroto sta già penzolando all’altezza delle caviglie ma, se non lo facessi, nasconderei la verità e, fanculo, voglio essere onesto fino in fondo. E, fanculo due volte, la situazione precipita quando la voce femminile comincia a gorgheggiare.

Terrificante.
Agghiacciante.
Tragico.

Cerco di spiegarmi meglio che posso: è evidente che si ha a che fare con un’autodidatta che non ha la più pallida idea di come gestire la propria voce. Alcune note acute suonano forzate e, quel che è peggio, le linee melodiche sono più scontate dei testi. “Neverending” è una marcetta con chitarroni e batteria triggerata che, da quello che ho capito, parla di scopare in termini epici e cavallereschi.

Un treno che deraglia.

Ne ho avuto abbastanza.

Traccia #3, “In the Dark”. Una canzonetta[*] che non stonerebbe come sigla di un cartone animato giapponese. Intendiamoci però: andrebbe bene per “I Cavalieri dello Zodiaco” ma non per “Hokuto No Ken”.

Traccia #4, “Battles in the Night”. Sinceramente, credo che dovrò fermarmi. Non posso andare avanti così. Questa roba è marciume totale. E non è nemmeno divertente. È talmente noioso che, se dovessi alzarmi all’improvviso, correrei il rischio di pestarmi un testicolo per via dello scroto modello Mister Fantastic…che ne so? Potrebbe telefonarmi qualcuno…Penso ai titoli dei quotidiani locali
“Risponde al telefono e calpesta la propria gonade”,
“Gli infermieri non riescono a nascondere l’ilarità”,
“La tragedia che si nasconde dietro un attimo di distrazione”,
“Dieci consigli utili per salvare i propri testicoli se si soffre di allungamento dello scroto, l’opinione dell’esperto, dottor Harry Kovac, direttore del reparto andrologia dell’ospedale unversitario di Leeds (UK)”.

E, in effetti, il telefono squilla. Mi alzo con la massima attenzione e recupero il cordless.

– “Pronto?”
– “Sono quello che abita al piano di sotto.”
– “Ah, buongiorno…come sta la bambina…come si chia-“
– “Non te ne frega un cazzo di come si chiama!” la sua voce non è la stessa di un nonno affettuoso che ti porge un pacco infiocchettato la mattina del 25 dicembre, “Che ne dici di abbassare il volume? Meglio ancora: spegni quel rantolo di morte prima che salga e ti infili il piede destro nel culo.”
– “Per una volta, credo di essere d’accor-“
– “Non mi interrompere, razza di stronzo figlio di puttana. Stanno…stanno rifacendo le fognature qua dietro.”
– “Ne sono al corrente.”
– “Non riesco ad assaporare il suono del motopicco a causa di quella…” si interrompe per raccogliere le idee, “quella lebbra sonora che allontana le mosche.”
– “Provvedo immediatam-“
– “Ecco, appunto. E anche alla svelta.”

*Crack!*

Allontano il ricevitore dall’orecchio. Credo abbia scagliato il telefono sul pavimento, mandandolo in frantumi.

*tuu-tuu-tuu*

Premo il tasto rosso sul cordless. Mi avvicino allo stereo, estraggo il CD, lo inserisco nella custodia…

“Secco non riciclabile?” mi chiedo.

[*] Intendiamoci: alcune “canzonette” sono veri e propri capolavori pop. Mi vengono in mente “Don’t Start now” di Dua Lipa e/o “Stupid Love” di Lady Gaga.

 

Grazie professore.

Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters

Posted in dischi, musica by Ares on aprile 19, 2020

Una luce nel buio della quarantena, e che luce!

Fiona Apple è un’Artista che sa farsi aspettare, questo Fetch the Bolt Cutters arriva 8 anni dopo il precedente (magnifico) The Idler Wheel, ed è appena il quinto album in 24 anni di carriera. Annunciato da qualche tempo, l’album arriva in formato digitale, quindi ve lo ascoltate via Spotify et similia in attesa che venga distribuito in cd, vinile e altri formati che potete trovare nello store ufficiale.

Come preannunciato in una lunga e molto interessante chiacchierata pubblicata sul New Yorker, Fiona ha fatto quasi tutto da sola, in casa, concentrandosi su voce, percussioni molto spesso ricavate da oggetti trovati in casa, e inserendo pochi altri strumenti facendosi aiutare da pochi fidati amici tra cui la sorella Maude Maggart. Ma quello che è davvero potente è rappresentato dai testi: una voglia di non stare zitta, anzi, di rispondere per le rime a chiunque, siano essi (ex) fidanzati, molestatori, politici e chiunque possa averla ispirata o fatta incazzare. 

La Fiona Apple versione 2020 ha raggiunto la fase “faccio e dico quel cazzo che voglio e ‘fanculo a tutti”. Se il risultato è questo sono disposto ad aspettare altri 7, 8, 9 o 10 anni pur di avere un capolavoro come Fetch the Bolt Cutters.

Non esistono account social ufficiali. L’unica risorsa è una pagina Instagram gestita da qualcuno che evidentemente ha un canale aperto con la Apple. In un mondo ossessionato dai social network lei se ne sbatte e si fa i cazzi suoi, in auto isolamento ben prima del Coronavirus.  

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Black Sabbath – Black Sabbath

Posted in dischi, musica by Ares on febbraio 13, 2020

50 anni fa veniva pubblicato quello che penso sia uno dei 5 album più importanti della storia del rock.

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Universalmente i Black Sabbath vengono riconosciuti come i padri del metal (e Tony Iommi di fatto l’inventore del genere). La cosa certa è che dal 13 febbraio del 1970 il panorama musicale planetario subì una profonda trasformazione. C’erano già stati esperimenti di band che suonavano musica “pesante”, ma nessuna all’epoca lo aveva ancora fatto con il mood che il quartetto di Aston, Birmingham, UK proponeva e avrebbe continuato a proporre per decenni con alterne fortune e diverse formazioni.

La title track è il manifesto e l’archetipo di un genere che negli anni ha subito un’evoluzione che ha portato alla nascita di molti sottogeneri e filoni più o meno interessanti.

Non dimenticare mai il passato, non perdere le proprie radici, tenere sempre presente da dove siamo partiti.

Black Sabbath.

Tool – Fear Inoculum

Posted in dischi, musica by Ares on settembre 16, 2019

Probabilmente l’album più atteso dal 2006.

I Tool sono una delle band di culto più di culto del panorama rock mondiale. Sono in giro dai primi anni ’90, hanno pubblicato dischi pazzeschi e la loro aura di musicisti geniali e sperimentatori li ha fatti definire come una sorta di connubio perfetto tra i Pink Floyd e il metal.

Fino al 2006 e alla pubblicazione di 10.000 Days la loro carriera era stata un crescendo. Poi la pausa, il disco nuovo che non arrivava mai, annunci e smentite, progetti paralleli, e quando ormai si erano perse le speranze…toh, Fear Inoculum.

Prima di ascoltarlo ho letto e sentito diversi pareri: secondo alcuni è un capolavoro, secondo altri è una merda totale e dopo 13 anni si poteva far di meglio, secondo altri i Tool hanno sacrificato gran parte della propria fantasia cercando di fare qualcosa che di fatto non è nelle loro corde.

Non voglio scendere nei particolari delle singole canzoni, ma l’ho ascoltato una, due, tre, N volte sia in cuffia che facendo altro per casa e penso questo: Fear Inoculum non è un capolavoro, ma non è nemmeno una merda come sostengono alcuni. Diciamo che è un buon disco dei Tool che però risulta essere davvero prolisso (le canzoni sono valide ma accorciarle di 2-3 minuti non sarebbe stato un delitto). I quattro suonano sempre divinamente, ma in alcuni momenti ho avuto anche l’impressione di ascoltare un disco di assoli di batteria sopra i quali sono state ricamate le altre parti strumentali e vocali.

In fondo, qual è il problema? Che dopo tanti (troppi) anni le aspettative erano altissime, e l’album lascia un po’ l’amaro in bocca? Sì, senza dubbio. Ma esattamente cosa ci si aspettava? Io non ho la risposta, forse nessuno ce l’ha.

David de Sola – Alice in Chains: the Untold Story

Posted in libri, musica by Ares on settembre 2, 2019

Gli anni ’90…l’ultima epoca d’oro della musica, il canto del cigno del rock, Seattle, gli Alice in Chains.

Questa è l’unica biografia che vale la pena leggere sugli Alice in Chains, band che nell’arco di pochi anni e con una manciata di dischi ha contribuito a segnare indelebilmente un’epoca.

Più importante ancora, gli Alice in Chains sono stati i primi di quel calderone chiamato “grunge” a uscire da Seattle, a vedere riconosciuto e premiato il proprio valore artistico, prima ancora di Nirvana, Soundgarden e Pearl Jam.

Con un lavoro certosino di ricerca e raccolta di interviste a membri della band, amici e collaboratori, David de Sola ricostruisce la nascita, l’ascesa, la morte (artistica e non) e resurrezione degli Alice in Chains. Il libro è stato pubblicato nel 2014, quindi raggiunge il momento della pubblicazione di The Devil Put Dinosaurs Here, penultimo lavoro in studio della band rinata con William DuVall al posto di Layne Staley. Personalmente non possono non provare tristezza leggendo il ritratto che ne esce di Layne, soprattutto alla luce di come manager, amici e colleghi (quindi molti addetti ai lavori) ne descrivono il talento. La discesa negli inferi di quel ragazzo è un pugno nello stomaco, anche perché è stata una sua deliberata scelta e a nulla sono serviti i tanti ricoveri e i tentativi di rehab. Se avete amato Dirt e Jar of Flies, e tutto quel che c’è stato allora non potete e non dovete evitare questo libro.

Dream Theater – Distance Over Time

Posted in dischi, musica, stroncature by Ares on febbraio 18, 2019

Come sempre quando si parla dei Dream Theater, questo blog si affida al prof. Crotaloalbino, massimo esperto mondiale della band di Petrucci e soci.
Ecco a voi la sua recensione del nuovo album della band “Distance Over Time”.

Hai 15 anni, vorresti infilarlo in un orifizio qualsiasi di una compagna di classe ma, anche se sei stupido come il culo di un asino, sai che è un lavoro per Ethan Hunt, al di là delle tue possibilità. Sei in camera tua, le luci sono spente e l’ambiente è illuminato solo dal bagliore dello schermo del PC che ti hanno regalato per la cresima.

Hai il cazzo in mano e stai per fare fuori qualche migliaio di spermatozoi che finiranno prima in un pezzo di carta igienica, quindi nella tazza nel cesso. infine nel pozzo nero. Senti le vene pulsare sulle tempie, la pressione arteriosa s’impenna, Rocco e un’ungherese di sì e no 20 anni ci stanno dando dentro come dannati. All’improvviso, come la biologia comanda, sborri.

Copiosamente.

Dappertutto.

Una considerevole quantità di quelli che avrebbero potuto essere tuoi figli finisce sul monitor del tuo computer, un altro po’ sulla tastiera.

La pressione arteriosa comincia ad abbassarsi e, nel giro di nemmeno un minuto, ti sentirai sull’orlo di un collasso.

È stata una delle migliori seghe della tua vita e, giusto quando stai per infilarlo nei pantaloni e tirare su la cerniera, considerando che il monitor si può pulire ma la qwerty va assolutamente sostituita, tua madre entra in camera.

Cosa fai?

Dai un’occhiata al tuo cazzo floscio, al liquido grigiastro che cola sullo schermo del pc, poi guardi tua madre. In faccia. Dritto negli occhi.

il tuo cervello è ancora annebbiato.

Ti metti a ballare. Balli come uno stronzo drogato. Sembri Ashlee Simpson al Saturday Night Live con la base sbagliata.

Lo fai per confondere le idee a tua madre che però è nata prima di te e la sa un sacco più lunga di quanto tu possa immaginare.

Capisci di essere fottuto. Non c’è modo di uscire da questa situazione. Non ci si può mettere una pezza.

Fot-tu-to nel culo fino alle tonsille.

“Cosa stai facendo?” tua madre ti osserva, una mano sulle labbra a nascondere il mento tremolante.
“Che razza di domande?” pensi, “Sto controllando il sito dell’inps per calcolare la mia pensione quando avrò 80 anni.” – “Non è come sembra.” dici, la fronte costellata da minuscole gocce di sudore. Freddo.

La porta cigola.

Entra anche tuo padre.

Abbassa lo sguardo sul tuo cavallo e tu realizzi, per la seconda volta nell’arco di 30 secondi, di avere ancora il cazzo fuori.

Tuo padre si mette a ridere. Fino alle lacrime. Piegato in due. Tossisce perché non riesce a riprendere fiato.

Cosa fai?

No, sul serio, COSA. CAZZO. FAI?

Apri la finestra e ti butti di sotto. Ma la tua camera è al piano terra di una bifamigliare e finisci sulle felci di tua madre. Razza di idiota segaiolo del cazzo.

Ecco. Ho appena descritto il nuovo disco dei Dream Theater che ho appena scaricato.

Grazie professore.

Alice in Chains – Jar of Flies

Posted in musica by Ares on gennaio 26, 2019

Ha appena compiuto 25 anni, ed è sempre meraviglioso.

Ricordo ancora quando Videomusic (!!!) trasmetteva il video di No Excuses (il cui testo imparai a memoria subito, la musica e MTV sono stati ottimi insegnanti d’Inglese): rimasi sorpreso perché era un brano con le chitarre acustiche e poca chitarra elettrica, ben distante da quello che avevo già ascoltato in Dirt.

Quante volte avrò suonato Don’t Follow, No Excuses, Rotten Apple, I Stay Away? Innumerevoli. Giornate intere.

Rimasi folgorato da Jar of Flies, e ancora una volta dagli Alice in Chains. E lo rimango sempre, ogni volta che lo ascolto.

Buon compleanno, che tu possa continuare ad essere celebrato in eterno.

Led Zeppelin I

Posted in dischi, musica by Ares on gennaio 12, 2019

12 gennaio 1969, 50 anni fa, all’improvviso cambiò tutto.

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Narra la leggenda che i Led Zeppelin impiegarono 36 ore per registrare il loro disco d’esordio, una manciata di canzoni tra nuove composizioni,  cover e materiale risalente agli Yardbyrds che di fatto divennero l’archetipo dell’hard rock per i decenni a seguire. Jimmy Page stesso ha definito questo album come il suo preferito, proprio perché è il manifesto di ciò che erano i Led Zeppelin.

50 anni, ed è ancora magnifico. Da ascoltare ad alto volume.

The Beatles

Posted in dischi, musica by Ares on novembre 22, 2018

22 Novembre 1968, viene pubblicato questo:

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Il White Album dei Beatles è un Capolavoro. Punto. Fine delle discussioni. Nel giro di 3 anni questi quattro erano riusciti a passare da Rubber Soul, che già era notevole, a un doppio album passando per Revolver, Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band e Magical Mystery Tour.

Alcune delle canzoni dell’album bianco? Back in the USSR, Dear Prudence, Blackbird, While My Guitar Gently Weeps, Revolution (e Revolution 9 che tanto piacque a Charles Manson), Savoy Truffle, Helter Skelter, Birthday, Happines is a Warm Gun.

Si poteva chiedere di più?