Le Grandi Recensioni

Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters

Posted in dischi, musica by Ares on aprile 19, 2020

Una luce nel buio della quarantena, e che luce!

Fiona Apple è un’Artista che sa farsi aspettare, questo Fetch the Bolt Cutters arriva 8 anni dopo il precedente (magnifico) The Idler Wheel, ed è appena il quinto album in 24 anni di carriera. Annunciato da qualche tempo, l’album arriva in formato digitale, quindi ve lo ascoltate via Spotify et similia in attesa che venga distribuito in cd, vinile e altri formati che potete trovare nello store ufficiale.

Come preannunciato in una lunga e molto interessante chiacchierata pubblicata sul New Yorker, Fiona ha fatto quasi tutto da sola, in casa, concentrandosi su voce, percussioni molto spesso ricavate da oggetti trovati in casa, e inserendo pochi altri strumenti facendosi aiutare da pochi fidati amici tra cui la sorella Maude Maggart. Ma quello che è davvero potente è rappresentato dai testi: una voglia di non stare zitta, anzi, di rispondere per le rime a chiunque, siano essi (ex) fidanzati, molestatori, politici e chiunque possa averla ispirata o fatta incazzare. 

La Fiona Apple versione 2020 ha raggiunto la fase “faccio e dico quel cazzo che voglio e ‘fanculo a tutti”. Se il risultato è questo sono disposto ad aspettare altri 7, 8, 9 o 10 anni pur di avere un capolavoro come Fetch the Bolt Cutters.

Non esistono account social ufficiali. L’unica risorsa è una pagina Instagram gestita da qualcuno che evidentemente ha un canale aperto con la Apple. In un mondo ossessionato dai social network lei se ne sbatte e si fa i cazzi suoi, in auto isolamento ben prima del Coronavirus.  

Tagged with: ,

Black Sabbath – Black Sabbath

Posted in dischi, musica by Ares on febbraio 13, 2020

50 anni fa veniva pubblicato quello che penso sia uno dei 5 album più importanti della storia del rock.

IMG_8748

Universalmente i Black Sabbath vengono riconosciuti come i padri del metal (e Tony Iommi di fatto l’inventore del genere). La cosa certa è che dal 13 febbraio del 1970 il panorama musicale planetario subì una profonda trasformazione. C’erano già stati esperimenti di band che suonavano musica “pesante”, ma nessuna all’epoca lo aveva ancora fatto con il mood che il quartetto di Aston, Birmingham, UK proponeva e avrebbe continuato a proporre per decenni con alterne fortune e diverse formazioni.

La title track è il manifesto e l’archetipo di un genere che negli anni ha subito un’evoluzione che ha portato alla nascita di molti sottogeneri e filoni più o meno interessanti.

Non dimenticare mai il passato, non perdere le proprie radici, tenere sempre presente da dove siamo partiti.

Black Sabbath.

Tool – Fear Inoculum

Posted in dischi, musica by Ares on settembre 16, 2019

Probabilmente l’album più atteso dal 2006.

I Tool sono una delle band di culto più di culto del panorama rock mondiale. Sono in giro dai primi anni ’90, hanno pubblicato dischi pazzeschi e la loro aura di musicisti geniali e sperimentatori li ha fatti definire come una sorta di connubio perfetto tra i Pink Floyd e il metal.

Fino al 2006 e alla pubblicazione di 10.000 Days la loro carriera era stata un crescendo. Poi la pausa, il disco nuovo che non arrivava mai, annunci e smentite, progetti paralleli, e quando ormai si erano perse le speranze…toh, Fear Inoculum.

Prima di ascoltarlo ho letto e sentito diversi pareri: secondo alcuni è un capolavoro, secondo altri è una merda totale e dopo 13 anni si poteva far di meglio, secondo altri i Tool hanno sacrificato gran parte della propria fantasia cercando di fare qualcosa che di fatto non è nelle loro corde.

Non voglio scendere nei particolari delle singole canzoni, ma l’ho ascoltato una, due, tre, N volte sia in cuffia che facendo altro per casa e penso questo: Fear Inoculum non è un capolavoro, ma non è nemmeno una merda come sostengono alcuni. Diciamo che è un buon disco dei Tool che però risulta essere davvero prolisso (le canzoni sono valide ma accorciarle di 2-3 minuti non sarebbe stato un delitto). I quattro suonano sempre divinamente, ma in alcuni momenti ho avuto anche l’impressione di ascoltare un disco di assoli di batteria sopra i quali sono state ricamate le altre parti strumentali e vocali.

In fondo, qual è il problema? Che dopo tanti (troppi) anni le aspettative erano altissime, e l’album lascia un po’ l’amaro in bocca? Sì, senza dubbio. Ma esattamente cosa ci si aspettava? Io non ho la risposta, forse nessuno ce l’ha.

Dream Theater – Distance Over Time

Posted in dischi, musica, stroncature by Ares on febbraio 18, 2019

Come sempre quando si parla dei Dream Theater, questo blog si affida al prof. Crotaloalbino, massimo esperto mondiale della band di Petrucci e soci.
Ecco a voi la sua recensione del nuovo album della band “Distance Over Time”.

Hai 15 anni, vorresti infilarlo in un orifizio qualsiasi di una compagna di classe ma, anche se sei stupido come il culo di un asino, sai che è un lavoro per Ethan Hunt, al di là delle tue possibilità. Sei in camera tua, le luci sono spente e l’ambiente è illuminato solo dal bagliore dello schermo del PC che ti hanno regalato per la cresima.

Hai il cazzo in mano e stai per fare fuori qualche migliaio di spermatozoi che finiranno prima in un pezzo di carta igienica, quindi nella tazza nel cesso. infine nel pozzo nero. Senti le vene pulsare sulle tempie, la pressione arteriosa s’impenna, Rocco e un’ungherese di sì e no 20 anni ci stanno dando dentro come dannati. All’improvviso, come la biologia comanda, sborri.

Copiosamente.

Dappertutto.

Una considerevole quantità di quelli che avrebbero potuto essere tuoi figli finisce sul monitor del tuo computer, un altro po’ sulla tastiera.

La pressione arteriosa comincia ad abbassarsi e, nel giro di nemmeno un minuto, ti sentirai sull’orlo di un collasso.

È stata una delle migliori seghe della tua vita e, giusto quando stai per infilarlo nei pantaloni e tirare su la cerniera, considerando che il monitor si può pulire ma la qwerty va assolutamente sostituita, tua madre entra in camera.

Cosa fai?

Dai un’occhiata al tuo cazzo floscio, al liquido grigiastro che cola sullo schermo del pc, poi guardi tua madre. In faccia. Dritto negli occhi.

il tuo cervello è ancora annebbiato.

Ti metti a ballare. Balli come uno stronzo drogato. Sembri Ashlee Simpson al Saturday Night Live con la base sbagliata.

Lo fai per confondere le idee a tua madre che però è nata prima di te e la sa un sacco più lunga di quanto tu possa immaginare.

Capisci di essere fottuto. Non c’è modo di uscire da questa situazione. Non ci si può mettere una pezza.

Fot-tu-to nel culo fino alle tonsille.

“Cosa stai facendo?” tua madre ti osserva, una mano sulle labbra a nascondere il mento tremolante.
“Che razza di domande?” pensi, “Sto controllando il sito dell’inps per calcolare la mia pensione quando avrò 80 anni.” – “Non è come sembra.” dici, la fronte costellata da minuscole gocce di sudore. Freddo.

La porta cigola.

Entra anche tuo padre.

Abbassa lo sguardo sul tuo cavallo e tu realizzi, per la seconda volta nell’arco di 30 secondi, di avere ancora il cazzo fuori.

Tuo padre si mette a ridere. Fino alle lacrime. Piegato in due. Tossisce perché non riesce a riprendere fiato.

Cosa fai?

No, sul serio, COSA. CAZZO. FAI?

Apri la finestra e ti butti di sotto. Ma la tua camera è al piano terra di una bifamigliare e finisci sulle felci di tua madre. Razza di idiota segaiolo del cazzo.

Ecco. Ho appena descritto il nuovo disco dei Dream Theater che ho appena scaricato.

Grazie professore.

Led Zeppelin I

Posted in dischi, musica by Ares on gennaio 12, 2019

12 gennaio 1969, 50 anni fa, all’improvviso cambiò tutto.

ledzep1

Narra la leggenda che i Led Zeppelin impiegarono 36 ore per registrare il loro disco d’esordio, una manciata di canzoni tra nuove composizioni,  cover e materiale risalente agli Yardbyrds che di fatto divennero l’archetipo dell’hard rock per i decenni a seguire. Jimmy Page stesso ha definito questo album come il suo preferito, proprio perché è il manifesto di ciò che erano i Led Zeppelin.

50 anni, ed è ancora magnifico. Da ascoltare ad alto volume.

The Beatles

Posted in dischi, musica by Ares on novembre 22, 2018

22 Novembre 1968, viene pubblicato questo:

whitealbum

Il White Album dei Beatles è un Capolavoro. Punto. Fine delle discussioni. Nel giro di 3 anni questi quattro erano riusciti a passare da Rubber Soul, che già era notevole, a un doppio album passando per Revolver, Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band e Magical Mystery Tour.

Alcune delle canzoni dell’album bianco? Back in the USSR, Dear Prudence, Blackbird, While My Guitar Gently Weeps, Revolution (e Revolution 9 che tanto piacque a Charles Manson), Savoy Truffle, Helter Skelter, Birthday, Happines is a Warm Gun.

Si poteva chiedere di più?

The Rolling Stones – Totally Stripped

Posted in concerti, dischi, documentari, DVD, musica by Ares on giugno 11, 2016

Dopo più di 20 anni dalla sua pubblicazione, torna in una veste aggiornata e ampliata uno dei lavori migliori delle pietre rotolanti.

Totally Stripped
Nel 1995 gli Stones erano pienamente entrati nella fase ultima della loro carriera: pubblicare un nuovo album a cui far seguire il megatour con annesso disco/video live, una routine che in sostanza si ripete da 20 anni. Ma il 1995 era anche l’epoca d’oro di MTV e dei concerti Unplugged, potevano le pietre rotolanti più famose del rock non dare la loro personalissima versione? Infatti venne pubblicato il magnifico Stripped che raccoglieva alcune registrazioni in studio e tratte da concerti molto intimi registrati in luoghi molto amati dalla band. L’album era un gioiello, band in gran forma e tanti classici del repertorio Stones con l’aggiunta di qualche cover tra cui forse la migliore interpretazione di Like a Rolling Stone mai sentita.
Ebbene, 21 anni dopo è arrivato nei negozi Totally Stripped, gustoso cofanetto da 1 cd + 4 dvd/Bluray (c’è anche la versione vinile) che raccoglie una versione rivista del disco del ’95 con una diversa scaletta, un documentario registrato all’epoca durante le registrazioni, e soprattutto i concerti completi tenuti al Paradiso di Amsterdam, Olympia di Parigi e Brixton Academy di Londra.
Imperdibile, non solo per gli amanti dei Rolling Stones. E non costa nemmeno uno sproposito, fatevi un favore e sarete delle persone migliori e più felici.

Mongrel State – Mestizo

Posted in dischi by Ares on febbraio 28, 2016

I Mongrel State vengono da Dublino, ma in realtà hanno anima italiana, irlandese, spagnola e argentina. Sono musicisti che si sono fatti le ossa girando per anni in lungo e in largo per l’Irlanda e l’Europa fino a quando non sono riusciti a trovare la miscela ideale per proporre la loro musica.

E Mestizo è il loro primo album

mestizo

Che genere fanno? Nel mondo anglosassone il loro genere viene spesso definito “americana”, ovvero un mix tra folk, rock’n’roll, blues che in alcuni momenti può ricordare Johnny Cash o certe colonne sonore dei film di Quentin Tarantino.

Mestizo (“meticcio” in italiano e, appunto, “mongrel” in inglese) è proprio questo: un’immersione in un genere musicale di chiaro stampo statunitense ma filtrato attraverso le diverse provenienze dei singoli membri della band.

10 canzoni ben suonate e prodotte in quel d Dublino, tra le quali si fanno notare Stray Dogs, Monster, Zombies on the Highway e How Many More Times ma anche la strumentale Quiero Volver e la conclusiva Rainy Day con la sua lunga e suggestiva coda che fa tornare alla mente i vecchi film western di Sergio Leone.

Il disco lo trovate direttamente nel loro sito ufficiale o su iTunes. Fatevi un piacere e supportate chi fa buona musica.

Dream Theater – The Astonishing

Posted in dischi, mezze stroncature, musica by Ares on gennaio 27, 2016

È tradizione consolidata di questo blog che in occasione di un nuovo lavoro dei Dream Theater io lasci la parola a uno dei massimi esperti mondiali sull’argomento, il professor Crotaloalbino. Quindi, ecco a voi la recensione di The Astronishing, tredicesimo album della band di John Petrucci e soci. Buona lettura.

Per la serie: Fave di Fuca in formato audio…

theastonishing-dt
Raddoppia la tua libertà intestinale con i Dream Theater, hey! Se per caso dovessi trovarti ad affrontare un brutto caso di intestino pigro e se tale condizione ti tormentasse da più a lungo del previsto, be’, vecchio mio: puoi recarti presso il tuo rivenditore di ciddì di fiducia, tirare fuori un paio di dieci euri – o quello checcazz’è – e procurarti la tua copia del doppio disco in studio della più celebre prog-metal band del pianeta. Dopo non dovrai far altro che sfanculartene a casa, massaggiandoti il ventre mentre copiose gocce di sudore freddo ti imperlano la fronte, ficcare il primo dischetto nel lettore e lasciare che le cose accadano.
E non preoccuparti di nulla, razza di bastardo: se non ti si stura il culo col primo cd, c’è sempre quell’altro ad allietare i tuoi padiglioni auricolari e a oliare le pareti del tuo colon.
Qualora anche al termine del secondo ciddì non dovessi riuscire a liberarti di quel paio di chili di stronzi che opprimono le tue budella, be’, amico, non so proprio cosa aggiungere. È possibile che tu abbia gusti musicali di merda, oppure potresti essere messo davvero male… o entrambe le cose. Sì, insomma, ti toccherà chiamare la guardia medica, ti porteranno al pronto soccorso in ambulanza e lì ti ficcheranno un grossissimo tubo fottuto dove non batte il sole per aspirare fuori tutto il cioccolato. Ah, ora che ci penso, ci sarebbe anche un’altra soluzione per te, cara la mia testina di guano di condor: potresti provare a cospargerti le mani di super-colla a presa rapida, attaccarti a un tornio, farlo andare alla massima velocità e sperare che l’effetto centrifuga sortisca il risultato sperato.
Ciò detto, alla fine, la curiosità ha avuto la meglio su di me… come sempre. E anche se un po’ me ne vergogno, mi sono procurato una copia di “The Astonishing” dei Dream Theater.
Gran bella copertina, per carità. Diciamo che i problemi, come al solito, cominciano non appena si preme il tasto “play” e lo squacquerone sonoro comincia a invadere la stanza.
Qual è la differenza fondamentale tra questo disco e quelli che lo hanno preceduto? Fondamentalmente, qui si ha a che fare con composizioni più brevi – la canzone più lunga dura 7 minuti e 41 secondi. Il che, dal mio punto di vista, è un colossale passo avanti rispetto al passato recente, dato che si riesce a seguire le singole composizioni senza cadere in preda a violenti conati e ritrovarsi rannicchiati in posizione fetale nell’angolo della stanza più lontano dai diffusori acustici.
Inoltre, da quello che sento, potrei addirittura spingermi ad affermare che questo è il disco più pop che i Dream Theater hanno pubblicato dai tempi di “Falling into Infinity” (che, va detto, è l’ultimo lavoro che sono riuscito ad ascoltare da cima a fondo). A tratti si ha quasi l’impressione di avere a che fare con un musical, con sezione d’archi e tutto quanto.
Bon, dai, tirando le somme, quello che ho sentito all’interno di “The Astonishing”, sono i seguenti elementi buttati dentro a un frullatore: Les Miserables, Meat Loaf, Three Sides to Every Story degli Extreme, The Final Cut dei Pink Floyd, Song for America dei Kansas, EL&P all’inizio di “A Life Left Behind” e… il dolce confetto Falqui.
WILL IT BLEND?
At the end of the day, possono aver placcato tutto quanto con uno spesso strato di oro colato MA si tratta comunque di merda. Ciò detto, vado ad appoggiare i glutei sulla tazza del wc in compagnia della Settimana Enigmistica.
Ciao.

Grazie, professore.

David Bowie – Blackstar

Posted in dischi by Ares on gennaio 11, 2016

Addio, David.

Blackstar_album_cover

Preceduto dai due singoli Blackstar (10 minuti scarsi e accompagnata da un video grandioso) e Lazarus, è stato anticipato come uno dei lavori più belli e importanti della carriera di Bowie.

Purtroppo, è anche l’ultimo, ma verrà ricordato (anche) come uno dei suoi (tanti) capolavori.

Capolavoro perché quest’uomo geniale anche alla fine è riuscito a creare un album sperimentale, tra il jazz, il rock, l’elettronica e tutto il mondo che ha vissuto nella sua testa, un mondo che ha affascinato orde di fans per quasi 50 anni e che, ne sono certo, continuerà ad affascinare future generazioni. Blackstar non è un album semplice, al primo ascolto può catturare o annoiare, ma sforzandosi nell’ascolto è possibile riuscire a cogliere la raffinatezza dell’opera.

Avanguardia. Bowie sembra essere tornato agli esperimenti sonori della seconda metà degli anni ’70, culminati nella trilogia berlinese e nella collaborazione con Brian Eno. C’è un’atmosfera cupa e contemporaneamente frenetica nelle canzoni, specie in Sue (or in a Season of a Crime), ma ci sono anche attimi di pace musicale come in Dollar Days col suo inizio che sembra una ballata pinkfloydiana.

Ad ascoltarlo ora, appena appresa la notizia della sua scomparsa, credo che in qualche modo David Bowie sapesse di essere davanti agli ultimi mesi della sua vita e per questo lo sforzo per creare qualcosa di unico e magnifico dev’essere stato immenso.

Ascoltatelo e basta. E poi riascoltate tutti i suoi album, e fateli ascoltare alle persone vicine a voi.