Tenet
Tornare al cinema, dopo mesi tra lockdown e rotture di coglioni, e affrontare Christopher Nolan…
…che si diverte a giocare con il tempo e la fisica, evidentemente Interstellar non gli era bastato.
La storia di Tenet è in parole povere il tentativo di salvare il mondo dall’annientamento. Come e soprattutto quando questa missione verrà portata a termine, o all’inizio, viene spiegato in 2 ore e mezza di immagini e dialoghi che vogliono complicare la vita allo spettatore.
Tanto sapete già come va a finire perché questo film lo avete già visto domani nel 2024. O ieri, nel 2026.
Scherzi a parte, guardare e ascoltare i dialoghi con molta attenzione perché è facile perdersi nei ragionamenti.
Buona visione.
The Last Dance
Non è solo la storia dell’ultima stagione vittoriosa dei Chicago Bulls degli anni ’90, è anche (e, ovviamente, soprattutto) la storia della carriera NBA di Michael Jordan. Uomo dal talento sportivo smisurato, uomo ossessionato dal dover vincere a tutti i costi, continuamente alla ricerca di un “nemico” da affrontare e non solo battere, ma umiliare ripetutamente nei casi più gravi.
L’epopea di Jordan e dei Bulls è anche la storia di come la NBA si è trasformata da semplice campionato sportivo a vero e proprio fenomeno culturale e di come si è diffusa in tutto il mondo. Ricordo bene qui tempi: ero molto giovane, avevo iniziato a giocare a basket ai tempi della rivalità Magic Johnson-Larry Bird (vinca chiunque, ma dal 1987 se vincono i Lakers sono più felice nda). Jordan era il nuovo, ed era qualcosa di diverso. Grande ancor prima di vincere, in seguito è diventato moda (basti pensare al successo del marchio Air Jordan e al sodalizio con Nike) e un’icona che trascendeva i limiti dello sport. Ha raccolto il testimone dei sopracitati eroi per portare il basket a un livello altissimo, è salito sul trono da dove nessun avversario lo ha buttato giù. La “sconfitta” è stata decretata dalla dirigenza stessa dei Chicago Bulls. Ero uno degli hater, ma solo perché era fastidiosamente più forte degli altri e perché era ovvio che nessuno all’epoca poteva batterlo.
The Last Dance racconta tanto, tantissimo degli anni di MJ e dei suoi compagni Scottie Pippen, Horace Grant, John Paxson, Steve Kerr, Dennis Rodman per citare i più noti. Molto spazio anche alla figura del coach Phil Jackson (12 titoli tra giocatore e allenatore) e del controverso general manager Jerry Krause al quale, con ben poca eleganza vista la sua scomparsa pochi anni fa, prima non vengono risparmiate critiche feroci e poi, negli ultimi minuti dell’ultimo episodio, gli viene dato credito per aver creato la squadra. Se ci fosse stato un altro General Manager forse non sarebbe stato preso Scottie Pippen, forse Phil Jackson non avrebbe mai allenato Chicago, e forse Jordan sarebbe diventato il più grande talento incompiuto della storia oppure avrebbe vinto da qualche altra parte, magari non lo stesso numero di trofei e non con lo stesso impatto.
La vita di Jordan viene presentata nelle parti più felici ma anche nei suoi aspetti più oscuri (che non sono pochi): il rapporto con la famiglia, la passione per il basket, la ricerca della perfezione, la voglia di migliorarsi, le distrazioni come il golf, la passione per il gioco d’azzardo, la morte del padre, il primo ritiro (o una presunta squalifica mascherata ad arte?), il baseball e il ritorno.
Viene dato spazio anche ai compagni di lusso come Pippen e la personificazione di genio e sregolatezza chiamata Dennis Rodman. E come ogni grande squadra vincente in cui la stella assoluta brilla talmente forte da offuscare gli altri, ci sono anche i comprimari che hanno avuto un ruolo cruciale nei momenti decisivi come Paxson e Kerr, assolutamente determinanti.
Un documentario appassionante e bellissimo, che riesce anche a far vedere il lato umano di Jordan: l’immagine del 23, disteso sul pavimento, che piange disperato dopo aver vinto il titolo del ’96 conquistato definitivamente il giorno della festa del papà è terribilmente umana. E lo è anche quando Jordan si commuove nel momento in cui parla dei compagni di squadra, del suo essere un duro, un bullo o uno stronzo totale. Lui era (è) così: per vincere con lui bisognava accettare questo, accettare il suo modo di spronare e far crescere i compagni e la squadra. Lo hanno capito, e hanno scritto la storia di 6 stagioni pazzesche chiudendo The Last Dance con The Last Shot.
Edit necessario: credo sia bene spendere qualche parola a proposito di queste dichiarazioni di Horace Grant. Ha ragione nel dire che The Last Dance è, soprattutto, una mega celebrazione di MJ ed era abbastanza ovvio che fosse esattamente questo il suo scopo. Ha ragione per quanto riguarda Pippen: che bisogno c’era di mettere in risalto i suoi errori/mancanze nel momento in cui Jordan non c’era? Forse per dare il messaggio “io Michael Jordan non lo avrei mai fatto, Pippen è uno stronzo”? Probabile. Questo, e altri particolari che ora sfuggono non fanno che gettare un’altra ombra su MJ. Spero di leggere presto altri commenti di altri protagonisti (Pippen su tutti).
Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters
Una luce nel buio della quarantena, e che luce!
Fiona Apple è un’Artista che sa farsi aspettare, questo Fetch the Bolt Cutters arriva 8 anni dopo il precedente (magnifico) The Idler Wheel, ed è appena il quinto album in 24 anni di carriera. Annunciato da qualche tempo, l’album arriva in formato digitale, quindi ve lo ascoltate via Spotify et similia in attesa che venga distribuito in cd, vinile e altri formati che potete trovare nello store ufficiale.
Come preannunciato in una lunga e molto interessante chiacchierata pubblicata sul New Yorker, Fiona ha fatto quasi tutto da sola, in casa, concentrandosi su voce, percussioni molto spesso ricavate da oggetti trovati in casa, e inserendo pochi altri strumenti facendosi aiutare da pochi fidati amici tra cui la sorella Maude Maggart. Ma quello che è davvero potente è rappresentato dai testi: una voglia di non stare zitta, anzi, di rispondere per le rime a chiunque, siano essi (ex) fidanzati, molestatori, politici e chiunque possa averla ispirata o fatta incazzare.
La Fiona Apple versione 2020 ha raggiunto la fase “faccio e dico quel cazzo che voglio e ‘fanculo a tutti”. Se il risultato è questo sono disposto ad aspettare altri 7, 8, 9 o 10 anni pur di avere un capolavoro come Fetch the Bolt Cutters.
Non esistono account social ufficiali. L’unica risorsa è una pagina Instagram gestita da qualcuno che evidentemente ha un canale aperto con la Apple. In un mondo ossessionato dai social network lei se ne sbatte e si fa i cazzi suoi, in auto isolamento ben prima del Coronavirus.
Peter Handke – La Ladra di Frutta
De gustibus non est disputandum…
Credo che quello che si legge a pagina 185 sia l’esatta descrizione di quest’opera di Peter Handke: “E qual era la storia? Non ce n’era nessuna“, anche se qui ci fa credere di riferirsi ad altro. In ogni caso, a pagina 364 si legge: “Ecco dunque un altro tratto di strada in cui, nella storia della ladra di frutta, non succedeva niente“.
E per essere ancora più chiari, arrivati all’ultima pagina si legge “Quante cose però aveva vissuto nei tre giorni del suo viaggio nell’entroterra, e come era stata drammatica ogni ora, anche se non accadeva nulla“.
424 pagine in cui non accade nulla.
C’è chi grida al capolavoro, c’è chi si è sentito preso per il culo. C’è chi se ne è innamorato, e chi lo ha abbandonato dopo poche pagine. Tutto valido e comprensibile. Stilisticamente impeccabile e (a tratti) onirico, inutilmente prolisso, entra nel folto gruppo di opere amate e detestate in egual misura.
Io l’ho letto tutto e l’ho rimesso al suo posto nella libreria. Da dove non uscirà mai più.
Vittorio Zucconi – Gli Spiriti Non Dimenticano
Il mistero di Cavallo Pazzo e la tragedia dei Sioux.
Magistrale opera di un gigante del giornalismo italiano, un libro che dovremmo leggere tutti per saperne un po’ di più sui nativi americani, sul loro declino causato dall’esercito americano e dai coloni europei alla conquista del West, e sui grandi capi e guerrieri che sono diventati il simbolo di un popolo ingannato, derubato, scacciato e infine sterminato e rinchiuso in riserve dove ancora oggi cerca di sopravvivere.
Incentrato sulla figura di Cavallo Pazzo, il racconto di Zucconi narra l’arco temporale che va dalla metà dell’Ottocento fino alla conclusione della lotta tra bianchi e le tribù delle Grandi Praterie del Nord. Mette in risalto i personaggi, le battaglie, i massacri e offre una visione del West ben diversa da quella “romantica” narrata in troppa cinematografia hollywoodiana.
In altre parole, un’altra testimonianza di come noi europei siamo andati alla conquista di quasi ogni angolo del pianeta portando ovunque morte e distruzione sotto forma di massacri con armi e malattie. Purtroppo lo scontro tra civiltà è questo e la più debole è destinata a soccombere. Non hanno avuto scampo i più organizzati Inca e Aztechi, come avrebbero potuto sopravvivere o addirittura vincere le piccole tribù (spesso in lotta tra loro) a cavallo, con archi e frecce, contro un esercito che poteva schierare artiglieria pesante e mitragliatrici? A parte le piccole grandi vittorie/massacri come Little Bighorn, il destino era segnato.
Attenzione: circolano copie del libro con mostruosi errori di stampa. Nel mio caso da pagina 200 si salta a pagina 219 di un altro libro (sul fascismo, peraltro) che prosegue fino a pagina 250 per poi riprendere il libro originale. Io ho risolto cercando in internet la parte mancante (2 capitoli), ma quei fenomeni della Mondadori avrebbero dovuto ritirare le copie sbagliate.
Buona lettura.
Paul Auster – 4 3 2 1
Libro che mi era stato regalato al tempo della pubblicazione. Complice l’emergenza coronavirus in corso, e il tanto tempo libero a disposizione, ho affrontato le 900 e più pagine con molta curiosità.
Curiosità che è sfociata in noia già nel primo capitolo.
Questo romanzo è inutilmente prolisso. L’idea di fondo, e come viene rivelata alla fine, è davvero interessante, ma descrivere una cosa semplice in 10 pagine dal mio punto di vista non è buona letteratura. Anzi, è solo esercizio di stile.
Aggiungere un protagonista noioso, alcune svolte narrative che sono talmente banali (il personaggio “.3” attraversa situazioni viste/lette mille volte, e la fine della sua parabola l’avevo pensata 40 pagine prima…) e “telefonate” da risultare imbarazzanti. L’ho finito per rabbia, perché volevo rimetterlo al suo posto sullo scaffale della libreria da dove non verrà mai più rimosso (a meno che qualche ospite non abbia voglia di prenderlo in prestito, ma ne dubito).
Paul Auster ha scritto opere decisamente migliori.
Sam Kean – Il Cucchiaino Scomparso
Clamoroso caso di regalo sbagliato trasformatosi in autoregalo…meglio non poteva andare, perché ho scoperto (tardi, la prima edizione in Italiano è del 2012) un libro molto interessante e molto divertente.
La curiosa storia della tavola periodica e dei suoi elementi (e di come numerosi grandi scienziati li abbiano scoperti) è la trama di questo saggio che si legge senza troppa difficoltà. Anzi, per chi ha studiato un po’ di chimica al liceo sarà anche l’occasione per riportare alla luce delle nozioni quasi dimenticate.
Gli aneddoti sono numerosi, le note a fine libro ampie ed esaustive, la materia in esame è quanto di più vicino a noi si possa immaginare. In fin dei conti è tutto una questione di chimica, anche leggere e scrivere queste parole: elettroni che si spostano, elementi che si combinano. Nient’altro. Facile, no?
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